"Ma, allora, anche oggi è possibile realizzare un servizio fatto bene!": abituato alle immagini piatte pubblicate sempre più dai giornali, mi ha quasi commosso vedere le fotografie realizzate da Vincenzo Noletto per il suo servizio, dello scorso 26 ottobre, sulle manifestazioni a Napoli contro le chiusure imposte dal DPCM di turno.
E proprio questa sua evidente ricerca stilistica (a scanso di equivoci, preciso che la trovo una ricerca stilistica a servizio della narrazione e non fine a se stessa) mi ha fatto venire la voglia di realizzare e pubblicare questa chiacchierata con Vincenzo.
Vincenzo Noletto - Foto di Emmanuele Esposito |
Ti ho conosciuto grazie al progetto “Humans of Naples”, ti ho seguito con gli scatti di “The Red Chair”, ti ritrovo fotogiornalista. Ti chiedo: chi è Vincenzo Noletto?
E' un bel casino. Diciamo tutte e tre le cose, e tutte le altre cose che farò in futuro. Nasco come fotogiornalista, almeno nel mondo della fotografia professionale parto lì; ho sempre avuto voglia di raccontare le persone, di raccontare storie, quindi parto dal fotogiornalismo, arrivo alla street photography e mi ritrovo a unire entrambe le cose in “Humans of Naples”. Ovviamente la mia ricerca fotografica non si ferma e continua a cercare nuovi sbocchi; nei ritratti di “The Red Chair” ho inserito - ad esempio - la fotografia analogica istantanea, le polaroid. Quindi, “Chi è Vincenzo Noletto?” è tutte le cose che abbiamo detto e probabilmente tante altre cose che non so ancora.
Nei tuoi scatti è evidente un percorso di crescita tecnico e stilistico. Tu lo avverti? E cosa ha contribuito di più a questa crescita?
Credo che la mia crescita fotografica sia legata ad una maturazione personale; sì, vedo una differenza nelle mie foto e sono contento che ci sia! Ma la cosa più figa è che anche persone che mi conoscono da più tempo mi dicono "minchia, Vince!, ma sei cambiato un sacco!", fotograficamente parlando ovviamente. E io questa differenza la vedo anche tra le foto scattate prima e dopo il lockdown di marzo, quindi probabilmente la strada è giusta, devo continuare in questa direzione.
Quando si parla di pittura si pensa, principalmente, a quadri e pittori. I fotografi amatoriali sembrano invece, soprattutto all'inizio del loro percorso, più interessati a fotocamere e obiettivi. Quanto conta realmente l'attrezzatura?
Per ogni lavoro e per ogni esigenza c'è uno strumento adatto. Ci sono lavori che richiedono strumenti specifici (se, ad esempio, sto facendo food voglio una lente che mi enfatizzi i dettagli, deve essere stra-nitida) e per strumenti intendo anche, che ne so, le luci e quello che serve per modificare la luce, per gestire i riflessi, tutte quelle cose che riguardano l'attrezzatura e che, non per forza, riflettono riguardano la macchina fotografica. Quindi l'attrezzatura è importante quando si deve fare un lavoro specifico ben preciso.
In altri lavori lo strumento è meno importante. Ad esempio, per la fotografia di strada e per il fotogiornalismo ho scelto uno strumento che, semplicemente, fosse comodo; comodo per me, non per forza comodo per gli altri! Questo dovrebbe essere sempre il punto di partenza per ogni fotografo: scegliere lo strumento più comodo. C'è chi utilizza lo smartphone in modalità automatica, e va bene; c'è chi utilizza la reflex in "P" perché è molto pratico; quindi per quale motivo io non posso utilizzare questa o quella macchina fotografica? Ognuno ha il suo veleno :)
Facciamo nomi e cognomi: tu che fotocamere e ottiche usi?
Per i video e per le foto di moda, still life, food, eventi, cerimonie eccetera utilizzo le reflex, ho due Canon 5D Mark III e Mark IV, e come ottiche un 24-70mm, un 70-200mm, un 35mm F1.4 di seconda generazione, un 50mm F1.4 e un 85mm F1.8. Queste sono gli attrezzi da battaglia, con queste faccio un po' di tutto.
Quando invece si tratta di fotografia di strada e di fotogiornalismo uso una Leica M10 con uno Zeiss Biogon 35mm F2.
Vivi e lavori tanto a Napoli. E Napoli, a mio parere, è una città con una specificità culturale e sociale veramente unica. Tu avverti questa particolarità? Pensi che il tuo modo di fotografare sarebbe diverso se vivessi e lavorassi in un’altra città?
Cosa differenzia Napoli dalle altre città? Io nelle altre città d'Italia non ho mai trovato la stessa necessità di vivere la strada; nelle altre città la strada è un luogo in cui passare, uno spazio da percorrere per andare da un'altra parte. Prendi ad esempio Roma, una città enorme, non si vive la strada, anzi!, la cosa più importante e scappare dalla strada e raggiungere la propria destinazione; questo succede a Milano, questo succede a Bologna, questo succede da tante altre parti. A Napoli, invece, la strada è “il luogo”; tante cose si fanno in strada perché quello è il loro posto. Questo cambia anche il modo di rapportarsi tra le persone, il modo di lavorare, il modo di coprire una notizia, di parlare con le persone che non ti conoscono. Questa “necessità” di stare uno addosso all'altro e di parlarsi scatena una serie di altre dinamiche che non ho trovato in altre città. Questa cosa di sicuro cambia il modo di pensare e di ragionare delle persone. Probabilmente sì, se vivessi in un'altra città scatterei in un altro modo... probabilmente crescere fotograficamente a Napoli mi ha permesso di vedere più cose rispetto ad altre città.
Attribuiscono ad Ansel Adams la frase: "Tu metti nella fotografia tutte le immagini che hai visto, i libri che hai letto, la musica che hai ascoltato, e le persone che hai amato". Sapresti indicarmi un fotografo o un artista, un libro (non necessariamente di fotografia), un disco e una persona che più ha influenzato il tuo modo di fotografare?
Io ti posso dire che ho una serie di “papà” fotografici, non uno solo!: Robert Herrman, che è stato forse uno dei primi che mi ha fatto capire l'importanza della fotografia; Alex Webb, che è il mio secondo papà fotografico, e poi Meyerowitz. Questi sono quelli che per primi mi hanno fatto amare la fotografia di strada. E poi Capa, David Alan Harvey, ma anche Abbas, Hoepker... ce n'è veramente “a morire”.
Il libro che, in assoluto, ha fatto da spartiacque tra un prima e un dopo è "The Americans" di Robert Frank; io l'ho visto anche nelle sue prime edizioni, ho visto la terza edizione e mi pare l’ottava, e le dimensioni erano enormi, cioè le stampe sono enormi; le foto veramente ti cadono in mano, è una cosa di una profondità incredibile. Questo è uno dei libri che più mi ha aperto la mente.
Un disco… sarò banale ma i Subsonica sono quelli che hanno iniziato a farmi ragionare un po' di più con il pensiero laterale. Nei loro testi non è tutto immediato, e questo mi ha spinto a ragionare con il pensiero laterale.
Una persona? Guarda è veramente una cosa cui non avevo mai pensato prima... (ci pensa un po’ e la risposta me la darà solo a fine intervista) Ti posso dire che la persona che più ha cambiato il mio modo di fare fotografia è Raffaele Monaco, il mio migliore amico. Non appartiene al mondo della fotografia, fa l'avvocato penalista, è un motociclista sfegatato (adesso guido la sua motocicletta perché lui non può guidarla più), è il mio migliore amico ed ha un anno in meno rispetto a mio padre! Ho l'onore di conoscerlo ed ha un modo di ragionare molto molto più avanti rispetto a tante altre persone.
Il complimento più bello che hai ricevuto come fotografo?
La mia massima aspirazione è riuscire a realizzare una fotografia che non è legata alla dimensione del tempo o del luogo; una fotografia dove si entra talmente in empatia con la storia che non è più importante l'epoca, il momento, il luogo… quando mi dicono "Questa foto è senza tempo!", e mi è successo per un paio di foto, rimango sempre colpito perché questo è quello cui ambisco: uscire fuori della dimensione del tempo e dello spazio.
L'ostacolo più difficile che hai dovuto superare come fotografo?
Come fotografo di strada l'ostacolo più grande sei tu stesso, perché non devi demordere, devi stare un sacco di tempo in strada, e parlo anche di 10 ore, non devi pensare "sta andando tutto male, non sono riuscito a fare una foto decente". Devi essere sempre il primo a credere in te stesso. Per quello, invece, che riguarda il fotogiornalismo è cercare di capire qual è la cosa giusta, qual è il percorso giusto, cosa è sbagliato seguire, cosa è giusto raccontare. Diciamo che sono due problemi, uno interno e uno esterno: bisogna sapersi ascoltare e, in determinati casi, magari far star zitta quella voce dentro di te che ti vuole sabotare a tutti i costi.
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