Intervista a Matteo Abbondanza: fotografo una realtà possibile

A volte si verificano circostanze piuttosto strane: giorni fa ho deciso - perché? non lo so - di controllare una casella email che non aprivo da veramente tanti anni. E ho trovato la email di un fotografo - inviata 6 anni fa! -  che mi chiedeva di dare un'occhiata al suo sito. Incuriosito ho cliccato sul link, non tanto per interesse verso le foto ma più per la curiosità di vedere se il sito era ancora attivo; seguo la fotografia sul web dal 2006 e, in tutti questi anni, ho visto passioni esplodere violentemente e altrettanto violentemente scomparire.

Il sito, a dispetto delle mie aspettative, era ancora attivo; non solo, le foto erano molto interessanti e una rapida ricerca su Internet mi confermava che la passione di Matteo Abbondanza, fotografo che non si definisce tale!, non solo non era scomparsa ma si era sviluppata rigogliosamente producendo nuovi e interessanti frutti.

Non mi restava che una cosa da fare: contattare Matteo e vedere, se dopo sei anni, aveva ancora voglia di raccontarmi qualcosa delle sue fotografie. E così è stato. 

Foto Matteo Abbondanza.

D: Prima di parlare delle tue foto, ci racconti la tua visione della fotografia?

R: E’ uno dei linguaggi che l’arte ci mette disposizione per esprimere la nostra interiorità e il nostro punto di vista sul mondo. Come altre forme d’arte, purtroppo, oggi viene utilizzata per scopi meno nobili di questo, ossia per convincere, dimostrare, esibire. La conseguenza è che le foto si somigliano tutte tra loro, perché puntano al consenso e all’immediatezza, non al racconto dell’io.


D: Sei partito dalla street photography; perché hai abbandonato questo genere fotografico?

R: Trovo inutile inquadrare la fotografia in generi, ma mi rendo conto che servono dei codici per capirsi, quindi mi adeguo: semplicemente ho proseguito il mio percorso artistico che mi ha condotto a una fotografia diversa da quella di strada. Non la rinnego, è stata utile, divertente, ma oggi non mi rappresenta più.


D: E, adesso, cos'è la tua fotografia? Quali sono i suoi soggetti e cosa racconta?

R: La mia fotografia racconta come vorrei che fosse la realtà che mi circonda, esprime la mia ricerca di equilibrio, pace, armonia, semplicità. E’ il mezzo che uso per esprimere il mio ossessivo bisogno di ordine e silenzio, di quiete e di vuoto. E’, volendo, anche un ottima soluzione tenermi distante dalla vita tormentata che sento scorrermi attorno.

Foto Matteo Abbondanza


D: In effetti guardando le tue foto (soprattutto quelle dei progetti "My vision" e "My imagination") mi è venuta in mente una frase attribuita a Doisneau: "Quello che io cercavo di mostrare era un mondo dove mi sarei sentito bene, dove le persone sarebbero state gentili, dove avrei trovato la tenerezza che speravo di ricevere. Le mie foto erano come una prova che questo mondo può esistere.". Questo desiderio di testimoniare la possibilità di un mondo diverso può quindi applicarsi anche alle tue foto?

R: Non conoscevo questa affermazione di Doisneau ma mi ci ritrovo al 100%. Come dicevo prima, la mia fotografia non racconta una realtà oggettiva – che non penso esista nemmeno – bensì una realtà possibile, che è poi quella che cerco io.


D: Da quello che ho intuito, per te la fotografia non nasce con l'inquadratura e si completa nello scatto, ma non disdegni di intervenire sulla scena nè prima dello scatto, nè poi, in post produzione. Eugene Smith diceva "Non sono contrario alla messa in scena ... se, e solo se, sento che questo può dare maggior risalto a qualcosa di autentico". Rispecchia il tuo pensiero?

R: Una foto può nascere anche mentre stai dormendo e si conclude solo quando la salvi nella cartella “foto finite”: tutto ciò che c’è nel mezzo fa parte del processo creativo nel quale, a mio parere, ha diritto a entrare qualsiasi manipolazione grafica o staging. A me non interessa discutere se pre o post produzione siano concesse, ognuno la pensi come vuole. A me interessa che un fotografo, per parlare di sé stesso, si senta libero di ricorrere a qualsiasi mezzo lasciando agli altri filosofeggiare sul nulla.


D: Ansel Adams ha detto "Tu metti nella fotografia tutte le immagini che hai visto, i libri che hai letto, la musica che hai ascoltato e le persone che hai amato”. Tu, in una recente intervista, hai fatto una affermazione simile: "Le mie foto sono il risultato di tutto quello che ho vissuto fino ad oggi e a questo risultato concorre tutto ciò che mi è accaduto". Puoi spiegarci meglio?

R: Le foto raccontano chi sei. Chi sei è il risultato della storia che hai vissuto. La storia che hai vissuto è fatta di persone, cose, film, libri, drammi, paure, viaggi, gioie… tutto. E’ la vita. Di fatto ho solo detto la stessa cosa di Adams ma con parole diverse.

Foto Matteo Abbondanza


D: Nella stessa intervista hai anche detto che "In fotografia è fondamentale disimparare tutto, le contaminazioni, le foto viste, le influenze, i workshop cui si è partecipato…". Ma, secondo te è veramente possibile "disimparare tutto"? Se guardo questa tua foto, ad esempio, non riesco a non pensare al celebre "triciclo" fotografato da Egglestone. Che ne pensi? E' solo il fotografo che deve "disimparare" e cancellare le influenze che ha ricevuto, o lo stesso tema non si pone anche per chi guarda la foto?

R: Mi spiego con un esempio. Appena hai imparato a guidare l’auto stai attento a come tieni il volante, a come cambi marcia, ai pedali. Dopo un po’, riesci a guidare mentre fumi, parli al cellulare e cambi stazione radio. Hai “disimparato” a fare le cose in modo meccanico, hai interiorizzato come si guida e lo fai in automatico, lasciando lo spazio mentale per altro, come appunto parlare al cellulare. In fotografia dovrebbe accadere lo stesso: interiorizzare tutto per essere liberi di scattare a modo proprio seguendo il proprio io e non quello di Salgado o Ghirri. Non so se lo stesso vale per chi guarda una foto: posso dirti che personalmente, nel valutare un’immagine, vado di pancia.


D: Ci sono fotografi che lavorano solo a colori, altri solo in bianco e nero. Tu hai sviluppato progetti sia in bianco e nero, sia a colori. Quali sono i rispettivi punti di forza, e quali i punti di debolezza? Quale preferisci ora?

R: Tecnicamente credo che sia molto più complesso gestire il bianco e nero: un colore gestito male, può cavarsela, un BN gestito male è irrimediabilmente piatto. Non penso ci siano punti di forza o debolezza assoluti, dipende dal tipo di immagini che vuoi fare. Nel mio caso, per esempio, il bn funzionerebbe meglio perché aiuta a rendere l’immagine più pulita. Nonostante ciò, ultimamente sto optando per il colore quasi per sfida: mi piace andare alla ricerca di immagini in cui ci siano non più di 3 o 4 colori e non è facile trovarle.


D: Per finire, pensi che ti stancherai mai di fotografare?

Non so cosa mangerò per cena stasera, puoi immaginare se ho idea se fotograferò ancora domani. 

Ci siamo lasciati così ma ti posso garantire che, nei giorni successivi, ha condiviso nuovi scatti sulla sua pagina Facebook; per ora sta continuando a fotografare. :)

Oltre a Facebook, puoi seguire le attività di Matteo Abbondanza anche sul suo sito

Ciao
Giovanni B.

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