Prima delle vacanze estive ho avuto l'occasione di entrare in contatto con Augusto De Luca, un poliedrico creativo napoletano che ha organizzato tornei di golf per le strade di Napoli, ha promosso su MySpace (!) la street art quando ancora era roba da teppisti e che, soprattutto, si è dedicato con passione e successo al ritratto fotografico, una cosa che io adoro e che mi intimorisce un sacco, fotografando persone famose (tra le quali Renato Carosone, Pupella Maggio, Lina Sastri, Renzo Arbore, Carla Fracci, Michele Santoro, Lina Wertmuller, Eugenio Bennato) e meno famose. Da questo primo contatto è nata l'occasione per questa intervista.
gio.bi: Buongiorno Augusto e grazie per la tua disponibilità. Con te, oggi, vorrei parlare del ritratto fotografico, partendo proprio dalle basi: cos'è per te il ritratto fotografico?
Augusto De Luca: Oltre a cercare di rappresentare l’anima del personaggio ritratto, é comunque un modo per conoscere me stesso. Nei miei ritratti, cioé, c’é la persona da ritrarre e ci sono sempre anche io. Quando vado a fotografare cerco un oggetto e un’inquadratura da poter abbinare al soggetto ed è li che c’è anche qualcosa di mio, la mia firma, la mia anima. Nel fotografare vengono fuori le parti di me più nascoste: è come andare dallo psicologo. Ho scoperto attraverso le mie foto che convivono in me sentimenti contrastanti ed estremi che danno vita alle mie ispirazioni. Il bambino che eternamente è in me coabita con quella parte più adulta, stimolandola e provocandola. È questa la scintilla che inevitabilmente produce creatività.
gio.bi: Hai fotografato personaggi famosi e persone normali. Quali differenze ci sono, se ci sono?
ADL: La risposta secca é: assolutamente nessuna differenza. La differenza é in te… cioè talvolta é il fotografo che si lascia intimorire dall’importanza della persona che ha d’avanti e questo, però, é controproducente. Sul set fotografico é il fotografo che deve condurre il gioco e decidere senza "se" e senza "ma". Insomma deve essere padrone della situazione.
gio.bi: Adoro il ritratto fotografico, ma mi intimorisce l'idea di avere davanti una persona e di dover realizzare il suo ritratto. Consigli per superare questa paura?
ADL: Ho sempre detto che per realizzare un buon ritratto é fondamentale mettere a proprio agio la persona da ritrarre. Io, infatti, solitamente prima di fotografare gioco e scherzo moltissimo, eliminando ogni tensione e facendo diventare un divertimento per tutti i presenti quello che, invece, é un lavoro.
gio.bi: Sei partito fotografando a colori, ora utilizzi quasi esclusivamente il bianco e nero. Quali sono i vantaggi e gli svantaggi del bianco e nero nel ritratto fotografico?
ADL: A differenza di molti fotografi, ho iniziato con il colore per poi passare al bianco e nero, ribaltandone le possibilità espressive: infatti ho utilizzato il colore per evidenziare e sottolineare non il realismo della scena ma, con tagli inediti, strutture astratte e metafisiche e, con il bianco e nero, ho rappresentato, invece, la realtà, fotografando diverse città e ritraendo molti personaggi famosi. In poche parole ho esaltato ed eliminato alcune caratteristiche di ciascuna modalità espressiva. Con il colore ho esaltato, dato valenza espressiva ed importanza alla sua peculiarità primaria: il cromatismo. Con il bianco e nero, al contrario, ho esaltato le forme e le linee dei soggetti, dandone una lettura più essenziale ed irreale, per un’interpretazione più trascendentale che facesse sognare ed immaginare il fruitore.
gio.bi: Ho avuto l'opportunità di guardare anche qualche tuo ritratto realizzato con Polaroid. Ci puoi dire qualcosa su questo lavoro?
ADL: Era proprio l'immediatezza del risultato e il cromatismo delle pellicole Polaroid che mi affascinava, più delle professionali e sofisticate apparecchiature con cui si ottenevano foto supernitide e straordinariamente precise. Cercavo un'imperfezione che rendesse l'immagine più artigianale e meno industriale. Le polaroid, poi, all’interno avevano una sostanza pastoso che sviluppava l’immagine che poi appariva sulla parte anteriore, quella lucida. Questa pasta si induriva completamente solo dopo alcune ore e, quindi, utilizzando uno stecchino di legno e spingendo sulla fotografia si ottenevano dei segni simili a pennellate. La polaroid così manipolata, quindi, appariva come una via di mezzo tra un’immagine fotografica e una pittura.
gio.bi: Tyler Shields dice che "tutti i grandi ritratti parlano di emozioni. E' veramente semplice scattare la fotografia del volto di una persona ma realizzare un ritratto emotivo di una persona è un affare completamente diverso". Che ne pensi?
ADL: Io credo che l’emozione non necessariamente scaturisca solo dall’espressione o dalla posa del personaggio ritratto, ma da tanti fattori come: la luce, il taglio e l'atmosfera della foto, che può essere determinata e modificata anche in fase di postproduzione. E' proprio dal giusto mix di tutto questo che viene fuori un risultato emozionante.
gio.bi: Adesso vorrei chiederti la cortesia di commentare alcuni dei tuoi scatti. Ho scelto questi tre:
Luigi Mazzella - foto di Augusto De Luca |
Passai molto tempo ad ascoltare Luigi Mazzella e senza indugio decisi di ritrarlo proprio immerso nei suoi lavori, diventando così egli stesso scultura nelle sculture, anima viva delle sue materie fredde e lavorate. Volevo fondere insieme il creatore e la creatura e dopo pochi tentativi, capii di avere la foto che desideravo.
Peppe Barra - foto di Augusto De Luca |
Questa foto la realizzai sul terrazzo dove il profilo di Peppe si contrapponeva a un’antica testa di un santo o forse di una bambola che poi al computer ho scurito per evidenziare maggiormente anche le ombre proiettate sul muro. Un modo per rimarcare le tante possibilità interpretative e i mille personaggi del teatro di Peppe Barra.
Riccardo Dalisi - foto di Augusto De Luca |
È inimmaginabile la quantità di forme scultoree che affollavano ogni angolo, ogni parete e ogni ripiano dei locali dello studio-galleria di Riccardo Dalisi. Non dovevo far altro che guardarmi intorno e scegliere l’opera con cui ritrarlo. In verità realizzai diversi scatti, ma, alla fine, mi concentrai su di una grande scultura di ferro battuto. Feci in modo che il suo viso fosse incorniciato da quelle strutture metalliche e scattai proprio quando lui, spontaneamente, sfoggiò quel suo inconfondibile, malizioso, furbetto ed incantevole sorriso. Si percepiva che il Maestro si stava divertendo molto. Al termine del nostro incontro volle regalarmi una piccolissima scultura che custodisco gelosamente.
gio.bi: Prima di lasciarti ho una curiosità e vorrei la tua opinione. Qualche giorno fa un amico mi diceva "non credo di essere particolarmente creativo, ma...". Secondo te, esistono persone creative e persone non creative?
ADL: Sicuramente ciascuno di noi ha una creatività latente, però è altrettanto certo che ciascuno di noi ha dei carismi che la evidenziano. La creatività, cioè, si può manifestare in diversi modi e sotto diverse forme. Tutto sta a scoprire la propria vocazione. Io ho sempre avuto dentro di me il germe dell’uomo-madre. È stata sempre molto forte l’esigenza di esprimermi in qualche modo. Ho cominciato prima suonando la chitarra in tantissimi gruppi rock, per poi passare nella metà degli anni ’80 alla fotografia. Anni fa incontrai Ennio Morricone per un lavoro in tandem per il libro “Roma Nostra” della Gangemi Editore e lui mi disse: “Sai, ho capito subito che sei anche un musicista perché le tue fotografie hanno un ritmo compositivo musicale che appartiene a chi è sensibile all’armonia dei suoni”.
Intervista interessante
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