"Per anni, Katja Petrowskaja si è cimentata in un genere tanto antico quanto arduo, l'ecfrasi: non già di dipinti, ma di fotografie."*
Fermi tutti: cosa significa ecfrasi? e come sono arrivato a imbattermi in un termine tanto desueto?
Tutto è iniziato un paio di giorni fa con la lettura dell'articolo "Le foto ci guardano?" di Salvatore Ditaranto; tra centinaia di altri articoli nel mio feed mattutino l'ho aperto solo perché nel titolo c'era la parola "foto", carta moschicida per la mia attenzione.
Inutile dire che ha toccato le giuste corde della mia passione: l'articolo recensisce magistralmente il libro La foto mi guardava, di Katja Petrowskaja, una raccolta di 57 riflessioni dell'autrice su altrettante fotografie, "fotografie in cui si è imbattuta in una mostra, in un libro, in un mercato delle pulci; fotografie d'autore o riaffiorate dal suo archivio personale."*
In un'epoca in cui siamo sommersi dalle immagini – tanto che, per liberarcene rapidamente, abbiamo imparato a scorrerle velocemente –, la Petrowskaja ha scelto coraggiosamente la strada dell'osservazione lenta e dettagliata, l'unica capace di spiegare l'attrazione che queste immagini esercitavano su di lei, e allo stesso tempo di renderle parlanti, di svelarne i segreti, di ricostruire la realtà attorno a quel frammento apparentemente statico di vita, trasformandole in storie.
«Se all’inizio della lettura del libro è strano pensare che una foto ci possa guardare - scrive Salvatore Ditaranto - , dopo aver letto qualche capitolo si abbraccia completamente l’idea dell’autrice e non ci si stupisce più del fatto che possono esistono foto che ci invitano ad avvicinarsi ad esse e che, addirittura, possano offrirci una qualche consolazione.» Che conclude «come è difficile chiudere in una segnalazione le originali osservazioni della Petrowskaja, così sarà impossibile fare a meno di pensare, quando andremo ad una mostra o sfogliando il suo libro, a quella sensazione che le foto ci guardino.»
Rimane una questione in sospeso: cosa significa ecfrasi?
ècfraṡi (o ècfraṡis; anche èkphrasis) s. f. [adattam., o traslitt., del gr. ἔκϕρασις, der. di ἐκϕράζω «esporre, descrivere; descrivere con eleganza»]. – Nome che i retori greci davano alla descrizione di un oggetto, di una persona, o all’esposizione circonstanziata di un avvenimento, e più in partic. alla descrizione di luoghi e di opere d’arte fatta con stile virtuosisticamente elaborato in modo da gareggiare in forza espressiva con la cosa stessa descritta. (Treccani)
Per questo, per fortuna, c'è Google.
Ciao
Giovanni
(* tratto dalla sinossi disponibile sul sito della casa editrice)
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