La fantastica storia di Mike Brodie

Ieri sono incappato in una storia affascinante, quella del fotografo Mike Brodie: una storia che si svolge nelle pianure americane, su e giù dai treni, fatta di viaggi senza destinazioni. Una storia che sembra quella raccontata da Jack Kerouac in "On the road", solo che è ambientata ai giorni nostri. Una storia che, mi sono accorto, io non sarei stato in grado di raccontare. Per questo ho chiesto aiuto a chi è più bravo di me con le parole; ecco come l'ha raccontata:


«Mike Brodie non è il classico fotografo, e non ha mai cercato di esserlo. A 17 anni, quando è saltato per la prima volta su un treno merci in Florida, non sapeva nemmeno dove lo avrebbe portato. Quella corsa era solo l’inizio di un’avventura che l’avrebbe trascinato lungo migliaia di chilometri di rotaie, attraverso 46 stati, in compagnia di giovani vagabondi che, come lui, cercavano qualcosa. Libertà, forse. Oppure il semplice gusto di perdersi.

La sua prima fotocamera non è stata acquistata in un negozio elegante ma trovata per caso, abbandonata dietro il sedile di un'auto. Una Polaroid SX-70, un oggetto quasi magico che gli ha permesso di fermare in un’immagine quei momenti che sembravano destinati a scivolare via, come le città e i panorami che scomparivano all'orizzonte. Non era la tecnica a guidarlo, né la ricerca della perfezione della composizione. A spingerlo era un impulso primitivo: la voglia di catturare la vita com’era, cruda e senza filtri, esattamente come la stava vivendo.

Non c’erano corsi di fotografia, né lezioni di luce o di messa a fuoco. C’era solo l’istinto, quell’energia incontrollabile che lo portava a scattare proprio in quel momento, in quella frazione di secondo in cui il mondo sembrava rivelarsi per un attimo, per poi richiudersi di nuovo. E Brodie, con la sua macchina fotografica, riusciva a entrare in quella fessura, a catturare il cuore pulsante di ogni scena.

I suoi soggetti non erano modelli, ma compagni di viaggio: volti sporchi di fuliggine, corpi stanchi e affamati, ma anche occhi che brillavano di una gioia indescrivibile, la gioia di non avere nulla, ma di avere tutto. Le sue fotografie sono un canto alla libertà giovanile, quella libertà che si trova solo nel non appartenere a nessun luogo, nel non avere nulla da perdere.

Mike Brodie non ha mai voluto essere un artista. Lui era lì, su quei treni, in quei campi polverosi, sotto quei cieli infiniti. E le sue fotografie sono il riflesso di quella vita vissuta all’estremo, una vita che non poteva essere contenuta nelle gallerie d’arte o nelle copertine dei libri. Brodie non ha mai cercato la fama e, quando è arrivata, l’ha rifiutata. Si è ritirato nel silenzio, diventando meccanico, mentre il mondo dell’arte si domandava dove fosse finito.

Ma i suoi scatti sono rimasti. Sono lì a ricordarci che la libertà non si trova nei manuali o nelle accademie, ma nei margini, nei confini che osiamo superare. Le sue foto ci parlano di una vita fuori dagli schemi, dove la tecnica non conta nulla se non hai il coraggio di seguire la tua strada, anche quando non sai dove ti porterà.»


Quando gli ho scritto per ringraziarlo (il testo mi è piaciuto moltissimo), la sua risposta mi è parsa ancora più bella del racconto che mi aveva mandato: 


«Ho cercato di evocare l'essenza della vita di Brodie, il suo desiderio di libertà, senza farmi distrarre dai dettagli tecnici, proprio come hai richiesto. Mi sembra che ci sia un ritmo essenziale, quasi come se il lettore stesse seguendo Brodie attraverso queste avventure, sentendo il vento, la polvere, il clangore dei treni.

Ho voluto trasmettere la sua sete di scoperta, non solo dei luoghi ma anche delle persone e di se stesso, lasciando che ogni fotografia fosse una finestra aperta su una storia più grande, su un mondo vasto e imprevedibile. L'ho immaginato come un testo che non insegna a fotografare, ma a vivere l'esperienza dietro la fotografia, che penso sia la chiave per capire Mike Brodie. Se il lettore riesce a percepire quell’istinto viscerale di libertà, credo che il testo abbia colpito nel segno.»

Aggiungo, di mio, qualche nota didascalica e biografica a corredo. Mike Brodie è nato nel 1985 in Arizona. La sua avventura inizia all'età di 17 anni quando sale su un treno a Pensacola, in Florida, e inizia a viaggiare, come "clandestino" sui treni merci, per gli Stati Uniti. Nei suoi viaggi incontra altri vagabondi e inizia a documentare questo stile di vita con una Polaroid SX-70 (da qui il suo soprannome, "Polaroid Kid", con il quale pubblica su Instagram).Quando Polaroid interrompe la produzione Brodie passa ad una Nikon F3. Il lavoro di Brodie viene rapidamente riconosciuto a livello mondiale per le sue immagini crude e romantiche allo stesso tempo.

Il suo libro più famoso e importante, "A Period of Juvenile Prosperity", esce nel 2013 e raccoglie le fotografie scattate tra il 2006 e il 2009, durante i suoi viaggi sui treni merci attraverso gli Stati Uniti. Le immagini ritraggono gli hobo, i viaggiatori clandestini con cui Brodie condivideva la vita nomade.

In precedenza, nel 2006, era uscito "Tones of Dirt and Bone", che raccoglie le Polaroid realizzate tra il 2004 e il 2006.

Nel 2008, nonostante il successo, Brodie si prende una pausa dal mondo dell’arte (continuando comunque a fotografare), per dedicarsi agli studi di meccanica e diventare un meccanico ferroviario.

E adesso, in chiusura, ti dico anche perché è una storia che mi ha affascinato. Non per la ricerca spasmodica di libertà, non per il rifiuto delle convenzioni sociali ma perché la storia e il successo di Mike Brodie sono la prova che in fotografia (come in ogni altra arte) avere qualcosa da raccontare, qualcosa in cui si crede e che si vive è più importante di ogni attrezzatura e di ogni corso o master che si possa immaginare.

Buona giornata
gio.bi

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