Katja Petrowskaja mi ha sfidato a guardare le fotografie in un modo, per me, completamente nuovo. In "La foto mi guardava" la scrittrice ci invita in un viaggio introspettivo, dove ogni immagine diventa un pretesto per una riflessione profonda e personale.
Questo libro mi ha incuriosito dal primo momento: giusto il tempo di leggere una recensione e mi sono segnato il titolo tra i libri da comprare. Poi, per il mio compleanno, è arrivato come regalo graditissimo.
Il contenuto è esattamente quello anticipato: una raccolta di 57 riflessioni di Katja Petrowskaja - scrittrice e giornalista tedesca di origini ucraine - su altrettante fotografie "in cui si è imbattuta in una mostra, in un libro, in un mercato delle pulci; fotografie d'autore o riaffiorate dal suo archivio personale."
Le foto sono quanto di più eterogeneo si possa immaginare: una foto di famiglia, la copertina di un vinile, la prima pagina manoscritta de "il processo" di Kafka, un ritratto raccolto per strada, una nuvola fotografata al parco o gli steli di un fiore nato a Chernobyl. Altrettanto vari sono i testi che accompagnano le foto.
E proprio i testi, i veri protagonisti di questo libro, mi hanno messo in crisi, suscitando sensazioni molto contrastanti: da una parte mi infastidiscono, dall'altra non riesco a fare a meno di leggere qualche pagina ogni sera. Ma andiamo con ordine.
Perché "La foto mi guardava" mi infastidisce
Le 57 brevi riflessioni, ognuna di un paio di pagine, sono più propriamente un susseguirsi di pensieri liberi e associazioni inattese. Ricordano un po' lo stream of consciousness di joyciana memoria ma, per quanto forbiti e ben strutturati, mi sembrano spesso u po' troppo vaghi, legati alla foto solo per una fortuita coincidenza.
Perché "La foto mi guardava" mi affascina
In un curioso cortocircuito sono proprio questi "pensieri in libertà", che tanto mi infastidiscono, a farmi indulgere nella lettura di un capitolo, e poi un altro e magari un altro ancora. Perché svelano il ritmo di osservazione di queste foto: un ritmo lento, allungato, antitetico alla frenesia con cui consumo la quotidianità e, spesso, la visione delle fotografie. Mi affascina l'idea che una foto possa essere osservata così a lungo da indurre una sorta di estasi visiva, dove i pensieri si liberano dai vincoli della razionalità e si intrecciano liberamente a formare nuove associazioni, nuovi contrasti, nuovi stimoli. E mi attrae la sfida di rallentare io stesso (sono consapevole: non ce la farò mai!) e di tornare una, due, tre volte sulla stessa foto (di più non riesco).
Devo confessare che, come avrai intuito, subisco il fascino di questo libro molto più dei piccoli fastidi che mi provoca. E forse sono proprio questi piccoli fastidi, alla fine, che mi assorbono nella lettura: mi arrabbio un po' e rallento. Forse è voluto: obbligarmi a rallentare per dedicare più tempo alle fotografie e ai pensieri che evocano.
Consigliato a chi ama costruire mondi con le immagini e le parole.
Post Scriptum: Anche se comprendo l'esigenza di contenere i costi e, quindi, la scelta di stampare su carta comune, la qualità di stampa delle foto lascia a desiderare. Spesso le immagini sono di qualità così bassa da diventare quasi illeggibili (quantomeno, molti dei dettagli descritti dall'autrice non sono visibili).
Molto interessante. Grazie
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